Stragi di mafia 25 anni dopo: l’analisi di Roberto Scarpinato, Procuratore Generale della Repubblica di Palermo

Stragi di mafia 25 anni dopo: l’analisi di Roberto Scarpinato, Procuratore Generale della Repubblica di Palermo

intervista a cura di Gianfranco D’Anna

stragi-di-mafia-25-anni-dopo-lanalisi-di-roberto-scarpinato-1
stragi-di-mafia-25-anni-dopo-lanalisi-di-roberto-scarpinato-4

A 9131 giorni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio,  gli anniversari misurano le distanze fra i fatti e l’accertamento della verità . Una verità ancora lontana.

Dalla disperazione del dopo Capaci e soprattutto delle ore successive a via D’Amelio all’evoluzione dell’impegno e della coscienza civile dei palermitani e della Sicilia, è tuttavia  una Palermo radicalmente diversa quella che partecipa e sente sulla propria pelle, alle tante manifestazioni commemorative del  25° anniversario del massacro di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta.

E’ una Palermo non più capitale della mafia, anche se non ancora del tutto liberata da cosa nostra, che si interroga e non si rassegna alla mancanza di verità e giustizia. Una città esempio di modello politico e di rinascita, che anche se disincantata spera in una analoga svolta regionale.

“L’elenco delle domande che sinora non hanno avuto risposta disegna i contorni di un iceberg ancora sommerso che né le inchieste parlamentari né i processi sono mai riusciti a portare alla luce, per una pluralità di fattori che si sommano e delineano un quadro inquietante” afferma il il Procuratore Generale di Palermo, Roberto Scarpinato, mente giudiziaria delle più delicate inchieste antimafia.

Stragi di mafia 25 anni dopo: l'analisi di Roberto Scarpinato, Procuratore Generale della Repubblica di Palermo
Roberto Scarpinato, Procuratore Generale della Repubblica di Palermo

Quanto è lunga la distanza fra quello che si è accertato e quanto c’é ancora da scoprire sulla strage di via D’Amelio?

Restano ancora impermeabili alle indagini rilevanti zone d’ombra. E’ rimasto ignoto il personaggio non appartenente alla mafia che, come ha rivelato il collaboratore Gaspare Spatuzza, reo confesso della strage di via d’Amelio, assistette alle operazioni di caricamento dell’esplosivo nell’autovettura utilizzata per l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta. Chi conosce le regole della mafia sa bene che tenere segreta a uomini d’onore l’identità degli altri compartecipi alla fase esecutiva di una strage è un’anomalia evidentissima: la prova dell’esistenza di un livello superiore che deve restare noto solo a pochi capi.

Sono rimasti ignoti coloro che si impossessarono dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, trafugata, con una straordinaria e lucida tempistica, pochi minuti dopo l’immane esplosione di via D’Amelio.

Su quell’agenda è noto che Paolo Borsellino aveva annotato i terribili segreti intravisti  negli ultimi mesi di vita.  Segreti che l’avevano sconvolto e convinto di non avere scampo, perché – come confidò alla moglie Agnese – sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, ma solo quando altri lo avessero deciso. Chi erano questi altri?

Francesca Castellese, moglie del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, in un colloquio intercettato il 14 dicembre ’93, poco dopo il rapimento del loro figlio Giuseppe, avvenuto il 23 novembre, scongiurò il marito di non parlare ai magistrati degli infiltrati nell’esecuzione della strage di via d’Amelio. Quell’intercettazione è agli atti del processo, ma quegli infiltrati  è stato impossibile identificarli e assicurarli alla giustizia.

E troppo tardi per ricomporre il mosaico della verità o si può ancora risalire a elementi portanti?

Un contributo determinante potrebbe venire dalla collaborazione con la giustizia di qualcuno degli esponenti di vertice di Cosa Nostra che conoscono  i retroscena della strategia stragista, taciuti ai livelli inferiori e persino a quei capi che non facevano parte del ristretto entourage di Riina.  Ma non mi sembra vi siano allo stato  le condizioni perché ciò possa avvenire.

Come é cambiato in questi 25 anni il rapporto fra magistratura, società e politica?

In quest’ultimo quarto di secolo si sono susseguiti una serie di eventi macro politici e macroeconomici di portata storica che hanno rottamato gli assetti e gli equilibri del paese che si erano consolidati durante la stagione della così detta Prima Repubblica. I luoghi reali del potere, quelli nei quali si decidono le scelte strategiche per la politica economica e per la vita nazionale, si sono trasferiti in organismi sovranazionali che non rispondono alle popolazioni nei territori, sempre più private della possibilità di incidere sulle scelte politiche che vengono presentate come scelte tecniche prive di alternativa.

L’Italia ha perduto negli ultimi decenni circa cinquecento marchi nazionali che sono passati al capitale straniero e il paese ha sceso molti gradini nei rapporti di forza internazionali.

La questione meridionale è stata sostanzialmente cancellata dall’agenda politica nazionale e la forbice economica tra Nord e Sud cresce ogni anno di più. Oggi non solo la Sicilia è tornata ad essere la regione più povera del paese ma la povertà si sta ormai cronicizzando. Anche il concetto di legalità sta cambiando. Si parla sempre più di legalità sostenibile, di una legalità che subordina la tutela dei diritti ai diktat del mercato, cioè ai voleri delle grandi concentrazioni di capitale in grado di influenzare il mercato.

In questo contesto le componenti più dinamiche della mafia, quelle che operano nelle regioni del centro Nord, si stanno evolvendo. Cavalcando lo spirito del tempo, si sono trasformate in agenzie che offrono sul libero mercato beni e servizi illegali per i quali dopo la globalizzazione è esplosa una domanda di massa alimentata da milioni di persone normali in tutto il mondo.

Le mafie in quei territori utilizzano sempre meno la violenza, tanto che si parla di mafie silenti, ed hanno instaurato con le popolazioni locali rapporti non aggressivi ma collusivi all’insegna di reciproci vantaggi. L’Unione europea ha stabilito che il fatturato della vendita della droga, della prostituzione e del contrabbando deve essere calcolato nel PIL dei paesi che fanno parte della comunità europea.

Anche i paradigmi culturali del passato sono in fase di rottamazione. La mafia mercatista è la mafia del futuro.

Articolo scritto da Redazione PinkItalia