50 anni fa tutti innamorati con Dott. Zivago

50 anni fa tutti innamorati con Dott. Zivago50 anni fa tutti innamorati con Dott. Zivago

Il romanzo di Boris Pasternak «Il dottor Zivago», uscito per la prima volta proprio in Italia nel novembre 1957 e rimasto vietato in Unione Sovietica fino al 1988, divenne un film nel 1965, anche questa volta per merito di un italiano.

Fu infatti Carlo Ponti a radunare i capitali (americani, inglesi e italiani), a convincere David Lean a mettere su pellicola la sceneggiatura del fido Robert Bolt e a radunare un cast che fece storia, con due protagonisti come Omar Sharif e Julie Christie, capaci di far innamorare generazioni di spettatori.

50 anni fa tutti innamorati con Dott. Zivago

Al resto pensarono la musica di Maurice Jarre e una stampa in grado di far leggere l’epico affresco storico-politico narrato come una immortale (e tragica) storia d’amore.

La «prima» del «Dottor Zivago» avvenne a New York la sera del 22 dicembre e fu subito chiaro che sarebbe stato un successo; poche settimane dopo la stampa estera decretò il consenso critico con ben 5 premi ai Golden Globe, mentre le statuette dell’Oscar (cinque anch’esse) resero gloria alla sceneggiatura, ma per il resto furono destinate ai valori tecnici del film, mancando il «bersaglio grosso» del miglior film e della migliore regia.

50 anni fa tutti innamorati con Dott. ZivagoUno smacco per il regista, che di Oscar ne aveva già guadagnati due e che si prese però una grande rivincita al box office: ancora oggi il film figura al quarto posto negli incassi di sempre per quanto riguarda il mercato italiano, tutte le «bibbie» dello spettacolo lo collocano entro i primi 30 posti e il «Tema di Lara», che si aggiudicò uno speciale Grammy Award nel 1967, continua a vendersi in tutto il mondo. Nella memoria popolare «Il dotto Zivago» è soprattutto la cronistoria dell’amore impossibile tra il medico-poeta e la bella Lara sullo sfondo di una Russia sconvolta dal dramma della prima guerra mondiale, dalla fame e dall’insofferenza delle classi più povere, dal ciclone della rivoluzione russa e della guerra civile tra «rossi» e «bianchi».

In realtà l’ordito di David Lean – che segue fedelmente il romanzo ma ne alleggerisce alcuni passaggi (specie sulla triste esistenza dell’ormai malato Zivago) – è molto più sofisticato e si fa forza di drammatici personaggi minori come il fratello generale (un tormentato e indimenticabile Alec Guinnes), lo spietato e misterioso Strel’nikov (un febbrile Tom Courtenay), il viscido Komarovskij di Rod Steiger per costruire un affresco dei sentimenti umani che ruotano intorno al tema del potere, del sogno rivoluzionario, della trasformazione epocale di una società.

Proprio come nel romanzo la poesia diventa il baluardo contro la barbarie e la sua apparente sconfitta – insieme all’amore – è invece garanzia di un futuro riscatto collettivo. David Lean non era nuovo a questo approccio che cambiava radicalmente il senso del cosiddetto «period film», ovvero il cinema di ricostruzione storica: con le armi proprie del kolossal aveva raccontato la società vittoriana («Grandi speranze» e«Oliver Twist»), la fine di un impero nella seconda guerra mondiale («Il ponte sul fiume Kwai»), la parabola coloniale («Lawrence d’Arabia») e avrebbe proseguito nel suo tragitto mostrando il senso profondo della rivolta irlandese («La figlia di Ryan») e tornando sul tema del colonialismo con «Passaggio in India»).

Ma proprio come in capolavori del cinema dei sentimenti, da «Breve incontro» a «Summertime», il regista seppe maneggiare a occhi chiusi anche in questo caso i meccanismi del grande racconto popolare, fondando il valore mitico dei personaggi su due attori promossi a star. Omar Sharif, divo egiziano promosso a icona internazionale in «Lawrence d’Arabia», entrò nei panni del dottore-poeta Zivago superando di slancio le incongruenze somatiche (lui, dai tratti tipicamente mediterranei) in forza di un carisma seduttivo che conquistò di slancio il pubblico femminile.

Julie Christie, reclutata tra le donne-simbolo del free cinema inglese (insieme a Rita Tushingham che si calò nella fragile ragazza che tiene le fila del racconto), divenne la romantica Lara: il loro temporaneo sogno d’amanti, nell’isba circondata dai ghiacci, rimane tra i momenti più alti di tutte le storie d’amore mai portate sullo schermo.

Carlo Ponti aveva vagheggiato il ruolo di Lara per Sophia Loren; il regista lo convinse che la diva italiana non era adatta a un personaggio che, all’inizio della storia, è poco più di una ragazza inesperta delle cose del mondo.

50 anni dopo è giusto rendere omaggio al produttore italiano che, superando ogni tipo di difficoltà, seppe regalare alla storia del cinema un capolavoro che è entrato nell’immaginario collettivo di ogni generazione. E chi riprendesse oggi il romanzo tra le mani non potrebbe dare diverso volto ai suoi personaggi, a conferma di un’arte registica che, di fronte all’opera unica di un vero artista, è riuscito a sua volta a creare un’immagine universale con forza propria.

Articolo scritto da Redazione PinkItalia