Gli attacchi di panico e la terapia breve strategica
La terapia breve strategica può rappresentare la soluzione ottimale per il trattamento degli attacchi di panico. Sul piano strategico, è il cambiamento della percezione di quella che appare come una realtà minacciosa a determinare l’efficacia di un intervento sui disturbi da panico e d’ansia. Per capire il perché, abbiamo intervistato il Dottor Giorgio Ioimo, esperto in psicoterapia breve strategica.
Dottor Ioimo, quali sono le ragioni alla base di questo approccio?
Nel caso in cui ci si limiti a intervenire solo sotto il profilo sintomatico, si avrebbe a che fare con un rischio di ricaduta molto alto, per non dire sicuro. Grazie all’approccio strategico, invece, è possibile concentrare l’attenzione su come funziona il problema. In pratica, si prova a capire quali sono le strategie disfunzionali a cui si ricorre per affrontare il problema: strategie che prendono il nome di tentate soluzioni. Il terapeuta, attraverso delle esperienze guidate, aiuta la persona a costruire le capacità e le abilità individuali attraverso le quali il problema può essere gestito in modo da poter essere superato in maniera definitiva e al tempo stesso efficace.
Ma come è possibile tutto questo?
C’è bisogno che il terapeuta compia una meticolosa analisi delle tentate soluzioni a cui facevo cenno in precedenza. Il soggetto che mette in atto queste strategie disfunzionali viene aiutato a interromperle prima, e a ribaltarle poi: così potranno diventare funzionali. In termini pratici, questo avviene attraverso la sperimentazione di esperienze emozionali concrete che non sono le stesse per tutti ma vengono adattate di volta in volta a seconda del sistema percettivo reattivo di ciascun soggetto, sempre tenendo conto delle caratteristiche peculiari di ogni problema. Così, potrà essere conquistata, seppure in maniera progressiva, una capacità di gestione della realtà figlia del conseguimento di una solida autonomia.
Perché si verifica questo cambiamento?
Nel momento in cui si verifica un cambiamento della percezione si ha a che fare anche con un cambiamento delle reazioni e, di conseguenza, della consapevolezza. In effetti la consapevolezza si può manifestare solo una volta che l’esperienza si sarà conclusa: a quel punto la persona non potrà fare a meno di constatare le risorse e le capacità utilizzate nello svolgere un’azione che non pareva possibile fino a quel momento. In molti casi i soggetti che soffrono di un disturbo fobico devono fare i conti con un eccesso di consapevolezza in relazione non solo al problema che patiscono, ma anche alle ragioni che lo originano. Insomma: non è che queste persone non abbiano capito o non siano consce della propria situazione; semplicemente non sono in grado di fare qualcosa di differente.
Qual è il principio che fonda il metodo che lei suggerisce?
Si tratta di conoscere un problema attraverso ciò che può risolverlo; o, per essere ancora più chiari, comprendere una realtà mediante quelle strategie che possono cambiarla. Il 95% dei casi di attacchi di panico – tenendo conto anche delle varianti correlate – che sono stati trattati con la terapia breve strategica ha avuto esito positivo ed è stato risolto. I diversi protocolli di intervento sono pianificati in maniera specifica in base alle diverse tipologie di persistenza dei problemi. La prima fase prevede lo sblocco della persistenza, seguito dal consolidamento e poi dall’autonomia personale.
Il disturbo da panico e gli attacchi di panico sono la stessa cosa?
Non proprio. Diciamo che un attacco di panico consiste in un episodio di panico singolo che in realtà può capitare a ognuno di noi, per esempio quando ci troviamo in una situazione di alto rischio, quando siamo molto stressati o quando siamo sottoposti a un forte spavento. Nel caso del disturbo da panico, invece, abbiamo a che fare con un problema strutturato, che si traduce in molteplici episodi di panico, quasi sempre impossibili da prevedere anche perché si verificano in circostanze in apparenza normali.
Per quali altri problemi è consigliata la terapia breve strategica?
Per esempio per il disturbo d’ansia generalizzato, che consiste in una sensazione di preoccupazione e ansia eccessiva che durano per almeno sei mesi. Vi si può ricorrere, poi, per il disturbo acuto da stress, i cui sintomi si palesano subito dopo un fatto molto traumatico. I suoi sintomi sono del tutto simili a quelli che contraddistinguono il disturbo port-traumatico da stress: evitamento degli stimoli che possono essere associati al trauma e incremento dell’arousal. Si parla di fobia sociale, invece, in presenza di uno stato di ansia significativo dal punto di vista clinico, che in molti casi innesca delle condotte di evitamento e che è dovuto all’esposizione a varie tipologie di prestazioni sociali. Diverso è il caso della fobia specifica: qui, infatti, è solo una situazione – o un oggetto – a causare lo stato di ansia da cui derivano le condotte di evitamento a cui ho fatto cenno anche parlando della fobia sociale.
Articolo scritto da Redazione PinkItalia