L’archeologo in Italia? E’ donna e precaria
Donna. Età media 37 anni, prevalentemente impegnata per enti pubblici, ma come libera professionista a partita Iva o con contratto a progetto. Stipendio annuo di 10.700 euro, nonostante la laurea, cui ha fatto seguito specializzazione o dottorato.
È il ritratto dell’archeologo tipo italiano nel 2015, fotografato dal primo rapporto sulla professione ad opera dalla Confederazione Italiana Archeologi nell’ambito del Progetto Discovering Archaeologists in Europe (DISCO).
Ecco tutti i dati emersi.
- I NUMERI
In Italia nel biennio 2012-2013 gli archeologi «attivi» sono 4.500. Più di 3.500 lavora fuori da enti pubblici, 400 nel Mibact, 371 nel Miur e 86 nel CNR. Le società archeologiche sono circa 200, ma spesso si collabora anche con aziende del campo edile o ingegneristico.
La maggior parte dei professionisti lavora in modo autonomo (65,9%).
- L’ARCHEOLOGO TIPO
Ben il 70,79% degli archeologi italiani in attività sono donne. Età media 37 anni (36 per le donne, 38 per gli uomini). Superata quella soglia, però, il gap si assottiglia bruscamente, con le donne che abbandonano questa professione in mancanza di garanzie certe.
Inevitabilmente si studia molto: solo il 6,35% degli archeologi si è fermato alla laurea triennale, mentre più della metà ha anche una formazione post laurea (52%). Per lo più il luogo di lavoro è nei cantieri di scavo (38%), seguono uffici, laboratori, biblioteche (35%) e musei (23%).
- GEOGRAFIA
La maggior parte degli archeologi italiani è concentrata al centro (40,9%, contro il 21,8% al sud, il 18,95% al nord, il 16,5% nelle isole). Soprattutto nel Lazio (26,7%) e a Roma (20%), sia per la presenza di numerose università e delle sedi centrali del Mibact, ma soprattutto per il Piano regolatore generale della capitale che impone la presenza di un archeologo su ogni cantiere che tocchi il sottosuolo.
- REDDITO
Mediamente si guadagnano 10.687 euro l’anno (nel 2010 erano 10.389), ma si può arrivare a 20-21 mila all’Università e al Mibact o, nel quarto più povero, toccare appena i 5 mila. I freelance non vanno meglio (14.235 euro), anche se è un libero professionista l’archeologo più «ricco» d’Italia, con 120 mila euro l’anno.
- DATORI DI LAVORO
I principali sono le Università (20%), seguite dalle società archeologiche (17%), Mibact (15%), Comuni (7,8%) e società turistiche (5,9%). Dal punto di vista delle percentuali di reddito di chi opera full time, invece, al primo posto ci sono le società archeologiche (31% dei redditi), poi il Mibact (20%) e infine l’Università (17%). La lettura cambia per i part time, che indicano come prima fonte di reddito le società (22,5%), poi l’Università (18,5%) e infine, alla pari con altri ambiti non specificati, il Ministero (10%). Quanto ai contratti, nel 2013 meno di un terzo degli archeologi ne possiede uno da dipendente (30%) e solo il 16% è a tempo indeterminato. La norma è il lavoro autonomo (43%) spesso a partita Iva (26,6%). Al momento del sondaggio, però, ben il 28% degli intervistati era disoccupato. In tutto, disoccupati compresi, il 65,9% degli archeologi italiani si dichiara lavoratore autonomo.
- MIBACT e UNIVERSITÀ
Al momento del sondaggio il Ministero contava 400 archeologi, tra funzionari e soprintendenti, il 99% dei quali con contratto a tempo indeterminato. I redditi variano dai 17 mila annui dei funzionari ai 79 mila dei dirigenti di prima fascia. La piramide ha una grande base di donne (circa il 70% dei funzionari, come nella media generale di categoria) e una testa prettamente maschile: 10 dirigenti uomini contro 6 donne (62,5% a 37,5%). Lo stesso accade tra i 371 archeologi sparsi in 50 atenei: tra i professori di I fascia la presenza maschile supera del 40% quella femminile (mentre in II fascia accade il contrario).
Articolo scritto da Redazione PinkItalia