Sex workers chiedono più diritti e presentano proposta di legge
Le sex workers o più semplicemente prostitute chiedono più diritti e presentano proposta di legge.
Preservativo obbligatorio, tesserino professionale anche con pseudonimo, lavoro autonomo e libertà associativa, pensione e tutele sanitarie gratuite, perché la prostituzione è un lavoro come tutti gli altri. E aree dedicate da individuare nelle città in collaborazione con le istituzioni. Sono le richieste del Comitato per i diritti civili delle prostitute che ha presentato una proposta di legge per la regolamentazione della prostituzione assieme al Codacons e l’Associazione Radicale «Certi diritti».
«Vogliamo pagare la tasse, ma non si sognino di fare una legge solo per fare cassa – spiega in conferenza Pia Covre, fondatrice del Comitato – Siamo anche disposte a trattare, ma vogliamo dei diritti».
«Ad oggi sono state presentate 14 proposte – spiega Covre – ma nessuna è davvero soddisfacente: alcune prevedono addirittura l’iscrizione in un registro presso l’autorità di pubblica sicurezza, come se fossimo criminali».
Molto meglio, invece, pensare ad «un tesserino, anche con uno pseudonimo», mentre deve essere possibile «cancellarsi, un giorno, da quegli albi, per rispettare la privacy di chi volesse cambiare lavoro».
Assurdo pensare ai controlli sanitari obbligatori, che «devono essere invece incoraggiati» su base volontaria, e «le sanzioni da 20mila euro a 5 anni di carcere per chi non si registra negli albi».
Una regolamentazione seria, spiega l’attivista, «deve agevolare invece l’autoimprenditorialità: non parliamo di grandi bordelli nelle città, ma di piccole strutture autogestite dove si possa applicare il mutuo aiuto tra lavoratori, o il microcredito, evitando così che si debba ricorrere all’usura o peggio, cadere nello sfruttamento».
Sul regime fiscale, continua, «impossibile pensare di tenere dei registri contabili delle attività; molto più logico sarebbe un sistema a forfait. Se si dovesse far pagare davvero l’Iva, moltissimi sarebbero tentati dal rimanere nel sommerso», risolvendo il tutto in un nulla di fatto. Per farsi un’idea, spiega, basta guardare fuori dall’Italia, come in Germania, dove c’è stata una fuga di massa dei lavoratori dal circuito legale, a causa «delle richieste troppo esose da parte del fisco: si chiedeva addirittura di pagare gli arretrati per gli anni precedenti».
Impensabile anche pensare di poter cancellare del tutto la prostituzione per strada, e «conciliare la legge Merlin con lo zoning: ecco, quindi, che si passa alle ordinanze dei sindaci», uno strumento però inadeguato a decidere su un terreno così delicato che riguarda il privato del cittadino.
Un aiuto, continua Covre, arriverebbe da una collaborazione tra istituzioni e associazioni: «L’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), dovrebbe partecipare alla stesura di linee guida» per la gestione dal punto di vista urbanistico della prostituzione. Bene invece l‘imposizione del preservativo obbligatorio: «Anche se il 90% dei lavoratori del sesso lo usa sempre ed è ovvio che sarà impossibile controllare tutti, è comunque importante dare un impulso in questo senso».
Una regolamentazione seria, aggiunge l’attivista, passa però anche da una rivoluzione nel linguaggio: «basta chiamarci prostitute, meglio sex workers, un termine che comprende tutti, senza discriminare».
Articolo scritto da Redazione PinkItalia