Quante sono le donne in politica in Italia?

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Dal dossier elaborato dall’agenzia di stampa AGI riprendiamo i numeri delle donne in politica in Italia

Quante sono le donne in politica in Italia? Quante nel Governo, in Parlamento, nei comuni, nelle regioni, in Europa?

Ecco un dossier per comprendere il reale stato del ‘gender gap’ nelle istituzioni del nostro Paese. La parità di genere nella politica ha fatto progressi sensibili, ma restiamo ancora lontani dai principali Paesi europei.

L’Italia ha avuto la prima donna ministro nel 1976 Tina Anselmi.

Tina Anselmi, esempio di coraggio e onestà in politica

Quarantadue anni dopo, nel governo Conte il 27% dei ministri sono donne.

Il rapporto AGI/Openpolis “Trova l’intrusa – gli effetti delle leggi per la parità di genere su Comuni, Regioni, Parlamento nazionale ed europeo” fa il punto ed emerge che in tutti gli organi di rappresentanza la quantità di donne, e soprattutto la qualità dei loro incarichi, continua a non reggere il confronto con quelli degli uomini.

Attualmente l’Italia è tredicesima in Europa per percentuale di donne ministro, e sotto la media europea del 30,40%. Al primo posto si trova la Spagna, con oltre il 60% di donne ministro.

Considerando le posizioni chiave nei governi Europei (capo politico, ministro degli Esteri, ministro dell’Economia e/o delle Finanze) al momento le donne sono solo 14:

  • 3 sono capi di Stato,
  • 4 ministri degli Esteri
  • 7 titolari di un ministero economico.

In media dal 1976 le donne ministro in Italia sono state il 10% delle diverse squadre, e solo con il governo Renzi si è ottenuta una piena parità (50 e 50), anche se temporanea. I governi successivi hanno fatto segnare un arretramento nella rappresentanza femminile, considerando anche sottosegretari e viceministri: nell’esecutivo Gentiloni la quota era del 28,33%, e in quello Conte scende al 17,19%, la più bassa dal governo Letta in poi.

Va meglio se si guarda al Parlamento: nella XVIII legislatura si registra record di donne in entrambi i rami: alla Camera la presenza femminile è del 35,71%, al Senato del 34,48%.

Il solo Movimento 5 stelle ha, nelle due Camere, oltre il 40% degli eletti donne.

Maria Elisabetta Alberti Casellati è la prima donna a guidare il Senato, e considerando che Laura Boldrini è stata presidente della Camera nel quinquennio precedete, per la prima volta nella nostra storia, per due legislatura consecutive, un ramo del Parlamento è guidato da una donna.

Elisabetta Casellati: una donna alla guida del Governo?
Maria Elisabetta Alberti Casellati è la prima donna a guidare il Senato

La parità arretra anche nelle Regioni, dove si contano oggi solo due donne governatore su 20, mentre tra il 2003 e il 2015 sono state cinque.

Anche nei Comuni la presenza femminile si mantiene bassa, con soli 9 capoluoghi guidati da un sindaco donna. Qui però il nostro Paese è nella media europea, con il 14% complessivo di amministrazioni locali ‘rosa’.

Ministri e sottosegretari

Poche donne ministro, e nessuna ricopre un ruolo chiave. Decisamente lontana, per il momento, dalla parità di genere la situazione del governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte. La percentuale di donne ministro attualmente in carica è del 27%, ma il dato cala al 17,19% per cento se si tiene conto anche dei viceministri e dei sottosegretari.

I ministri donne sono:

  • Elisabetta Trenta (M5s, Difesa),
  • Giulia Grillo (M5s, Salute)
  • Barbara Lezzi (M5s, Sud),
  • Giulia Bongiorno (Lega, Pubblica amministrazione),
  • Erika Stefani (Lega, Affari regionali).

Unica vice ministro è Emanuela Claudia Del Re (M5s, Esteri).

Le donne che ricoprono l’incarico di sottosegretario sono:

  • Laura Castelli (M5s, Economia),
  • Alessandra Pesce (M5s, Politiche agricole),
  • Giuseppina Castiello (Lega, Sud)
  • Vannia Gava (Lega, Ambiente)
  • Lucia Borgonzoni (Lega, Beni culturali).

Il 17,19% di presenza femminile fa del governo Conte il fanalino di coda della parità di genere negli ultimi anni.

Il governo Letta poteva infatti contare su una percentuale complessiva del 29,03%, l’esecutivo Renzi del 27,87% e quello Gentiloni del 28,33%.

Va anche detto, però, che dal 1976, primo anno in cui nel nostro paese una donna è stata nominata ministro, la percentuale media di donne presenti nell’esecutivo si attesta attorno al dieci per cento. L’unica volta che, in un esecutivo della Repubblica italiana, vi è stata parità assoluta di genere per i ministri, è stato col governo Renzi: una parità, però, che è durata un breve lasso di tempo.

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Ricordando che dalla nascita della Repubblica non vi sono ancora state donne presidente del Consiglio o ministro dell’Economia, per quanto riguarda i ruoli più importanti di governo si registrano solo due donne ministro degli Esteri (Emma Bonino nel governo Letta e Federica Mogherini nel governo Renzi), due ministro della Giustizia (Paola Severino nel governo Monti e Annamaria Cancellieri nel governo Letta) e due ministro dell’Interno (Rosa Russo Iervolino nel governo D’Alema e Annamaria Cancellieri nel governo Monti).

Tornando al quadro attuale, questo pone il nostro paese nelle posizioni di rincalzo del continente europeo: l’Italia è tredicesima in Europa per percentuale di donne ministro e ben al di sotto della media europea, che è del 30,40%. Saldamente in testa la Spagna con oltre il 60 per cento di donne ministro.

Ciò non significa però che nel resto d’Europa la parità di genere negli esecutivi sia un dato acquisito.

Quante donne guidano un partito in Italia?

Al momento soltanto una. E’ Giorgia Meloni Presidente di Fratelli D’Italia

giorgia meloni
GIORGIA MELONI PRESIDENTE DI FDI

Alcuni meccanismi sembrano essere particolarmente efficaci nello spingere in su la percentuale di donne candidate ed elette. In questo senso, la doppia o tripla preferenza di genere, come le liste alternate, rappresentano gli strumenti che più di altri hanno dimostrato efficacia.

Non mettendo in discussione la libertà normativa delle Regioni, è chiaro però che il non avere strumenti comuni stia portando a risultati altalenanti. Da un lato il dato delle elette nei consigli regionali continua a non essere soddisfacente, dall’altro l’indice di successo per le donne è sensibilmente più basso rispetto a quello delle altre assemblee elettive, circa la metà.

I due elementi sono chiaramente collegati: nonostante le diverse regioni abbiano tentato di introdurre correttivi per migliorare la situazione, la crescente percentuale di candidate non si riesce quasi mai a convertire in un’equivalente quota di elette.Quante sono le donne in politica in Italia?

Il contesto culturale

Un ruolo lo gioca anche il mutato contesto culturale, in cui il tema sembra conquistare sempre maggiore importanza. Nelle assemblee in cui non erano attivi specifici correttivi per favorire la parità di genere, vedi i Comuni con meno di 5.000 abitanti e il parlamento nazionale, i dati delle donne sono comunque aumentati. Questo è dovuto sicuramente ad una maggiore sensibilità al tema ma anche, soprattutto per i consigli comunali più piccoli, ad un’importante effetto traino. Più in generale è quindi giusto sottolineare che tutti i correttivi inseriti dal 2004 ad oggi hanno contribuito a “velocizzare” (direttamente ed indirettamente) una dovuta evoluzione nella rappresentanza politica. Ora, seppur ad intensità diverse, in ogni organo politico del paese la parità di genere è un tema e ovunque si sono testimoniati dei miglioramenti.

Conclusioni

Il grado di parità di genere nelle istituzioni cresce lentamente, con alcuni limiti

Due velocità

A velocità differenti, e con regole diverse, il parlamento (per comuni, elezioni nazionali ed europee), come le regioni, hanno implementato numerose norme per favorire la parità di genere nelle istituzioni politiche. L’analisi dei dati di questi primi anni di applicazione delle norme ci permette di trarre le prime conclusioni.

Alcuni meccanismi sembrano essere particolarmente efficaci nello spingere in su la percentuale di donne candidate ed elette. In questo senso, la doppia o tripla preferenza di genere, come le liste alternate, rappresentano gli strumenti che più di altri hanno dimostrato efficacia.

Non mettendo in discussione la libertà normativa delle regioni, è chiaro però che il non avere strumenti comuni stia portando a risultati altalenanti. Da un lato il dato delle elette nei consigli regionali continua a non essere soddisfacente, dall’altro l’indice di successo per le donne è sensibilmente più basso rispetto a quello delle altre assemblee elettive, circa la metà.

I due elementi sono chiaramente collegati: nonostante le diverse regioni abbiano tentato di introdurre correttivi per migliorare la situazione, la crescente percentuale di candidate non si riesce quasi mai a convertire in un’equivalente quota di elette.

donne in politica
Camera dei deputati TRANSATLANTICO

Un’altra considerazione che si può fare è quella del contesto culturale, in cui il tema sembra conquistare sempre maggiore importanza. Nelle assemblee in cui non erano attivi specifici correttivi per favorire la parità di genere, vedi i comuni con meno di 5.000 abitanti e il parlamento nazionale, i dati delle donne sono comunque aumentati.

Questo è dovuto sicuramente ad una maggiore sensibilità al tema ma anche, soprattutto per i consigli comunali più piccoli, ad un’importante effetto traino. Più in generale è quindi giusto sottolineare che tutti i correttivi inseriti dal 2004 ad oggi hanno contribuito a “velocizzare” (direttamente ed indirettamente) una dovuta evoluzione nella rappresentanza politica. Ora, seppur ad intensità diverse, in ogni organo politico del paese la parità di genere è un tema e ovunque si sono testimoniati dei miglioramenti.

Purtroppo però l’impulso e lo stimolo dato dalle norme approvate non può riuscire a modificare altri aspetti che non sono, e non potranno mai, essere toccati da questi meccanismi.

In primis il problema dei ruoli apicali: le donne sindaco in Italia nel 2016 erano solo il 14,1% e, solo per fare un altro esempio, dal 2003 al 2015 le donne presidente di regione sono state solamente 5, due numeri per far capire ancora la lunga strada da percorrere. In secundis le differenze territoriali, specialmente tra meridione e settentrione.

Negli anni le politiche per il riequilibrio di genere hanno certamente contribuito a colmare questo gap, ma ancora oggi le quote di elette e nominate nei comuni del sud, per fare un esempio, rimangono inferiori a quelle dei comuni del centro e del nord.

Questi due elementi sottolineano che per quanto il legislatore possa tentare di “imporre” paletti correttivi, non è detto che la società viaggi alla stessa velocità.

 

Articolo scritto da giuliabucci